10 febbraio "Giorno del Ricordo" In memoria delle Vittime delle foibe e dell'Esodo Giuliano-Dalmata

Pubblicato il 10 febbraio 2023 • Comunicati

La Repubblica italiana riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale

Il Vice Presidente Amdeo Quaroni ha partecipato alle celebrazioni del Giorno del ricordo presso la Prefettura di Pavia
 

Prendo brevemente in prestito le parole di una canzone di un cantautore italiano. La canzone è ingiustamente poco nota. Ma non è un caso: ingiustamente poco noti e relegati negli scantinati della memoria collettiva sono gli eventi che la canzone canta. Quelli, appunto, al centro della giornata del ricordo.

…” da quella volta non l’ho rivista più…cosa sarà della mia città”: la città è Pola, Istria. E chi la canta, Italia 1969, è stato brutalmente costretto a lasciarla, amputando da sé stesso un pezzo della propria storia.

Se ci fosse una foto sarebbe certamente in bianco e nero. Forse, potremmo vederli, lui, un ragazzino allora quattordicenne e sua madre. Due volti, due vite che vanno a compore la massa dei 350.000 in fuga dalle proprie case, o da quel che resta di esse.

Inquieti desolati e ancora terrorizzati, essi vanno verso una patria improbabile che si chiama Italia, e che, in larga parte, non è lieta di accoglierli, e non sa bene come rapportarsi a quegli esuli, scomodi e imbarazzanti come la storia che hanno stampata addosso.

Il nome del cantautore è Sergio Endrigo e il titolo della canzone è “1947”: l’anno fatale dei trattati di pace di Rapallo. Quelle che vengono assegnate alla Jugoslavia sono le terre del sangue, sono il nervo scoperto dell’Europa del secondo dopoguerra.

Pian piano la musica si smorza, l’Europa è divisa da un muro, i profughi dalmati giuliani istriani camminano alla disperata, qualcuno stringe le labbra serrando il lutto dei propri familiari infoibati, e le note “non so perché stasera penso a te” … dicono il dolore di quanti sono costretti, ancora oggi in diverse parti del nostro Pianeta, alla fuga nel tentativo di sottrarsi alla ferocia dell’oppressione e al rancore della vendetta ideologica.

Noi le ascoltiamo oggi, queste parole su questa melodia struggente, consapevoli che il secolo dei totalitarismi ha trascinato con sé in un circolo infernale il dolore e l’esilio, la migrazione di popolazioni, le macerie delle case, i roghi stagliati nel cielo dei Balcani, e mille e mille disperazioni familiari, indimenticate come i morti ammazzati in quelle cavità dette foibe.

Le sofferenze patite - citando il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione delle celebrazioni del Giorno del ricordo dello scorso 2021 - non possono essere negate. Il futuro è affidato alla capacità di evitare che il dolore si trasformi in risentimento e questo in odio, tale da impedire alle nuove generazioni di ricostruire una convivenza fatta di rispetto reciproco e di collaborazione.

Una strada serrata e in salita, quella dell’odio e della contrapposizione tra popoli, dalla quale non dobbiamo lasciarci sopraffare ma per la quale siamo chiamati a rinnovare il nostro impegno.  

Siamo uomini delle istituzioni della Repubblica: il nostro compito è quello di abitare la storia e il nostro dovere è quello di imprimere al nostro tempo la rotta della pace, che trova alimento solo dove l’arbitrio e le diseguaglianze cedono il passo ad un unico credo, laico e universale, che si chiama libertà.


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